Vagando per i siti che parlano di Geocaching, mi sono imbattuto in questo racconto di VERICOL che ho trovato subito molto bello e sopratutto molto adatto ad un Blog come questo, ho quindi contattato l'owner, che si e' subito reso disponibile alla pubblicazione, e di questo lo ringrazio.
Buon Divertimento !
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Cavagliano è una piccola frazione sui Monti della Calvana subito a Nord di Prato.
Le sue case sono disabitate dagli anni sessanta e ora versa in totale abbandono.
Un posto ideale per una cache !
Da allora per un certo periodo vi ha abitato solo un pastore sardo, ora pure lui, anche per l’età, abita a Prato e viene quassù saltuariamente.
Ricordo quando lo incontrai per la prima volta, diversi anni fa, ero salito su da Prato percorrendo il sentiero che parte da Carraia di Calenzano ed arriva al paese, Luigi (non è il suo vero nome, per rispetto alla sua privacy.. tanto un nome vale l’altro) era sulla porta
della sua casa senza elettricità, vedendomi arrivare mi chiese:
“E’ venuto per l’agnello? Non ne ho più, sa..”
“No”, risposi, “sono venuto a fare una passeggiata”.
Eravamo vicini a Pasqua e mi spiegò che qualcuno veniva da Prato per prenotare l’agnello pasquale.
Vedendomi sudato per la lunga salita mi disse: “Venga in casa a bere qualcosa”, “La ringrazio, ma ho l’acqua nello zaino”, “Ma quale acqua, venga a bere un bicchiere di vino!”.

La prima volta per educazione si rifiuta, ma poi è educazione accettare, così entrai di buon grado.
Mi versò un abbondante bicchiere di rosso, invitandomi a sedere. “Non avete la luce quassù?” domandai, “Macché, non c’è mai stata, i miei frigoriferi funzionano a gas”.
C’erano infatti un sacco di bombole fuori ed aveva un piccolo televisore in bianco e nero collegato ad una batteria di auto. “Vive da solo?” “C’è mio figlio con me, ma lui sta con la moglie a Prato, viene quassù col fuoristrada la mattina e la sera torna giù, io fin che posso me ne sto quassù, sono abituato a stare da solo fin da quando ero in Sardegna, finché la salute mi aiuta lo farò, poi..” e fece un gesto con la mano come a scacciare un pensiero molesto come un insetto.
Guardai intorno, nella cucina c’era l’essenziale che usa un uomo solo, oltre al frigorifero e alla piccola TV, un fornello a gas ed una vecchia cucina a legna, sul tavolo un coltello, una pentola, da una parte un divano con una coperta su cui evidentemente Luigi si stendeva per riposarsi, al muro un’immagine della Madonna.
Nessuna concessione al lusso o allo spreco, Luigi era a suo modo un ribelle, nella sua insensibilità al richiamo della modernità e dell’agio; una specie di disobbediente alla Thoreau, un personaggio che sembrava uscito dalla penna di Chatwin e se Sepulveda lo avesse conosciuto lo avrebbe messo tra i protagonisti de “Le Rose di Atacama”, tra coloro che resistono, nonostante tutto.
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La Cache |
Ci mettemmo a parlare del paese, mi disse che a inizio anni 60 c’era una quarantina di persone, c’era anche il parroco, poi il boom economico risucchiò tutti verso Prato, le case piano piano andarono in rovina, come pure la chiesa, ma già da subito dopo la guerra non erano stati celebrati più né battesimi, né matrimoni, né funerali, la gente semplicemente se ne andava. “A dir la verità un matrimonio fu celebrato, era una ragazza siciliana, con un giovane del paese, ma i genitori non erano d’accordo perché era già promessa, il giorno del matrimonio non vennero nemmeno i testimoni, ma così il matrimonio non si poteva fare, passarono di lì due cacciatori coi cani, il parroco gli fece lasciare fuori della chiesa i cani ed i fucili e gli fece fare da testimone, così i due giovani poterono sposarsi”.
Ridemmo e brindammo alla salute di quei lontani sposi. Ad un tratto mi fa: “Lo sa delle piccole tombe?” Ora il suo sguardo era una fessura, sentii che stava per dirmi qualcosa di spiacevole e mi sentii leggermente a disagio. “No, non..”. “Eh..” Scosse la testa e guardò il fondo del bicchiere. “Siccome quassù l’aria è buona, era abitudine specialmente prima della prima guerra di portare qui i bambini malati di polmoni, le famiglie li lasciavano ai contadini a pensionato, per farli guarire. Purtroppo chi era già gravemente malato non ce la faceva e allora li seppellivano quassù, nel piccolo cimitero, dove il numero delle piccole tombe è sproporzionato rispetto a quello degli adulti.. ma ora il tempo e l’abbandono hanno coperto tutto..”.
Sorrise leggermente e quasi a darmi coraggio mi riempì di nuovo il bicchiere.

Bevvi d’un fiato. Guardai fuori dalla finestra, cominciava ad imbrunire, Luigi colse il mio sguardo, le persone di poche parole come lui sanno quello che vuoi dire anche se non lo dici.
“Devi tornare?” dal lei era passato al tu, un’emozione condivisa avvicina,
“Sì, si fa tardi..”.
Ci alzammo, sulla porta ci stringemmo la mano. “Torna quando vuoi”
“Grazie”. Un ultimo cenno di saluto e poi la porta si chiuse.
L’oscurità incombeva ed io dovevo rifarmi tutto il sentiero, fortunatamente in discesa.
Passai davanti al cimitero, il cancello arrugginito era aperto, i muri rovinati, non potei distinguere le tombe ormai invase dai rovi, ogni traccia era cancellata anche per quei piccoli la cui permanenza su questa terra è stata ahimè troppo breve.
La terra li ha generati, la terra li ha ripresi: è tutto.
In basso nella piana che unisce Firenze, Prato e Pistoia era tutto un luccicare di luci dorate, sull’autostrada si rincorrevano file di luci bianche e rosse delle automobili.
Alle mie spalle un’oscurità stellata e silenziosa copriva le case di Cavagliano.
Fra le piccole tombe fischiava il vento.